Cinema indipendente: la riforma che non convince

Tax credit, Maurizio Fiume: «È Reddito di Ricchezza per produzioni straniere»

«È evidente che il tax credit non è un Reddito di Cittadinanza ma un Reddito di Ricchezza per poche imprese straniere». Così il regista, sceneggiatore partenopeo, animatore Forum Cinema Indipendente e fondatore della startup Solefilm, Maurizio Fiume, nel corso della sua audizione al Forum NO LOGO “CINEMA NON DIPENDENTE”, tenutosi lo scorso 7 ottobre a Roma, a cui hanno partecipato tanti operatori del settore audiovisivo, molto delusi (un eufemismo) dagli ultimi provvedimenti. Dal Ministero della Cultura, infatti, puntano a fare all-in sul tax credit, la riforma-miracolo per Giuli, attraverso la quale si augura di risolvere i problemi profondi di un’industria strisciante: «Col credito di imposta per il cinema la smetteremo di finanziare film che non va a vedere nessuno. Ce lo chiedono gli stessi operatori che sono i primi a non poterne più del reddito di cittadinanza da pellicola. Basta distribuzione di denari a pioggia. Si punta ad alzare la qualità». 

Alla nuova riforma in tanti però hanno dichiarato apertamente il proprio dissenso. Tra questi proprio Maurizio Fiume che nel suo intervento al Forum, insieme all’avvocato Lo Foco, i produttori Leonardo Baraldi e Luisa Porrino, Graziella Bildesheim per la formazione, l’autore e il produttore Emanuele Caruso, A.L.T. Assemblea Lavoratori Troupe con un messaggio letto in sala, Raffaele Buranelli per #RAAI, Stefano Pierpaoli di Filmstudio, ha scattato un’istantanea sulle precarie condizioni del cinema indipendente, sulle sproporzioni nei finanziamenti che vengono assorbiti in larga parte dai colossi del cinema, creando squilibri insostenibili per i competitor minori. I numeri messi a fuoco da Fiume raccontano di un’Italia scivolata dal quinto posto (in competizione con la Francia fino a dieci anni fa) al dodicesimo posto attuale, secondo i dati dell’Osservatorio Europeo dell’audiovisivo, nel mercato mondiale del cinema. Stesso scenario per quanto riguarda il numero di spettatori: l’Italia è fuori dalla top ten. Contrariamente a questi trend, il nostro Paese si posiziona sesto nel 2023 per numero di film prodotti (402). Lo ha rilevato la Direzione Generale del Cinema a Venezia. «Un dato non corretto», secondo Fiume, «perché è il risultato di un accorpamento tra i film di finzione, i documentari e coproduzioni nonostante in questi progetti il ventaglio di occupazione degli operatori è molto ampio: in Italia dai 74 addetti per un film (181 all’estero) si arriva ai 14 per i documentari. Non mi pare quindi che i due dati possano essere accorpati così facilmente come accade».

Il tax credit, numeri alla mano, è costato agli italiani 3,2 miliardi in sette anni, 460 milioni all’anno, esclusi i contributi selettivi che si aggirano a 100-150 milioni extra. Sono circa 20 le società, quasi tutte non italiane, che fagocitano la fetta più grande di questi contributi. Le cifre sono evidenziate anche dall’Apa (Associazione dei produttori audiovisivi) che stila annualmente dei bilanci delle società che hanno ottenuto più crediti di imposta. Tra queste, nel biennio 2021-2022, primeggiano società straniere sia per il cinema che per produzioni tv/web: Wildside, Indiana Production, Cattleya su tutte. A conferma di ciò, Agcom ha pubblicato l’elenco delle realtà di produzione che sono state assorbite da altri gruppi, per lo più esteri o da fondi di investimento esteri. Sono 14 società che arrivano a 20 se si considerano anche gruppi italiani. All’aumento di questi benefici non corrisponde però un altrettanto incremento dei posti di lavoro. Secondo i database dell’Inps, nel 2023, l’annus horribilis della produzione audiovisiva italiana, i dipendenti del settore risultano essere poco più di 120mila e hanno lavorato per 5 milioni di giornate lavorative. Pari a una media di 42 giornate di lavoro all’anno per una paga lorda di 8.800 euro annua. Un compenso completamente differente se si prende in esame, per esempio, quello di un lavoratore pubblico che lavora 278 giornate all’anno e ha un reddito di 34mila euro.

«Si evince», per Maurizio Fiume, «che “questa Industria” che ha come mantra il mercato, i ricavi non li ottiene dal mercato ma dai contribuenti italiani. Eppure il mercato in Europa esiste, è enorme. Ma per entrarvi ci vogliono opere di alta qualità che questa “Industria” ha dimostrato di non essere capace di realizzare nonostante i 3,2 miliardi di euro elargiti dallo Stato. Non sono stati capaci – ha proseguito il regista – di aumentare il numero di lavoratori del comparto e le loro paghe che sono rimaste invariateHanno saputo invece aumentare i loro ricavi». «I produttori indipendenti non devono essere “Industria”. Sono artigiani evoluti. Lo dicono la storia del cinema italiano e la storia del tessuto produttivo italiano che è costituito da micro e piccole imprese che fanno la ricchezza del nostro paese», ha ricordato Maurizio Fiume a margine del suo intervento.

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